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Fondo di Fondi VenturItaly: un cornerstone investor nella filiera del venture capital italiano

Dare supporto al privato per stimolare il mercato: dal seed al late stage, un focus specifico sulle più promettenti realtà del nostro Paese. 
05/10/2021

Qual è l’approccio di FOF Venturitaly, rispetto alla strategia complessiva di CDP Venture Capital? 

Il Fondo di Fondi nasce con un duplice scopo”, racconta Cristina Bini, responsabile del Fondo, “da un lato generare ritorni finanziari per i propri investitori, ma al contempo supportare il lancio di fondi di venture capital privati attivi sul mercato italiano”. 

L’obiettivo, quindi è chiaro: scovare i talenti – cioè i manager che stanno lanciando Fondi di venture capital – e analizzare ogni aspetto, dalle capacità reali di investimento e di deal sourcing, fino alle capacità di fare fund raising

Il nostro lavoro consiste sia nel fornire le risorse finanziarie in qualità di cornerstone investor dei fondi target, sia nel collaborare con i gestori di questi ultimi nella realizzazione di una governance appropriata, che possa attrarre altri investitori al nostro fianco, anche internazionali”, continua Bini.

Un ruolo maieutico, insomma, che consiste nel dare supporto al privato per stimolare il mercato. Un mercato che negli ultimi 10 anni è molto cambiato. 

Assistiamo a un’evoluzione, quindi, anche in termini di imprenditorialità del venture capital, che consente di essere ottimisti. Immaginando che, nel lungo periodo, si riuscirà anche a colmare il gap con gli altri Paesi. 

Il mercato sta maturando”, continua Bini, “e lo vediamo anche da una certa specializzazione progressiva dei Fondi, sia in termini di settore – un esempio è Primo Space Fund di Primomiglio SGR, specializzato nella space economy, o Blacksheep dedicato al Madtech – che di fase di intervento – come nel caso di Prana Ventures, dedicato al seed”. “Solo qualche anno fa è capitato di dover prendere un aereo per trovare all’estero qualcuno che volesse fare venture capital in Italia”, racconta Bini. “Oggi invece registriamo una nascente imprenditorialità anche sul fronte dei gestori di fondi, non solo delle startup”. 

La direzione auspicabile sarebbe che tutti i gestori sul mercato diventassero management company stabili e diversificate, per creare strutture più solide nel lungo periodo. 

In questa fase dobbiamo ancora aumentare leggermente il numero di operatori”, racconta Bini “sempre con una valutazione in prospettiva: quando si seleziona un target, è necessario chiedersi se quel gestore avrà la stoffa per rimanere sul mercato nel lungo periodo, altrimenti non abbiamo fatto il bene del mercato”. 

Con un’attenzione specifica al ricambio generazionale, perché quando si analizza un team, oltre alle competenze, occorre considerare se ci siano giovani in grado di diventare prospective partner dei fondi successivi

Magari a distanza di qualche anno, perché “bisogna avere un background, un network, esperienze precedenti diverse, competenze maturate anche se possibile a livello internazionale”.

Il Fondo di Fondi VenturItaly, però, guarda anche oltre l’ecosistema nazionale, puntando all’espansione internazionale. 

Questo aspetto è imprescindibile, ad esempio, per fondi come UV T-Growth di United Ventures e i fondi scaleup di Vertis Venture, perché sono specializzati su realtà innovative nelle fasi avanzate di sviluppo, e il loro ruolo è anche accompagnare le scaleup nel salto verso la globalizzazione”, racconta Bini. 

Inoltre, il tech per sua natura ha ambizioni internazionali, dato che nessuna tecnologia viene sviluppata prescindendo dall’estero. 

In generale credo che ogni fondo di venture capital, quando seleziona un investimento, abbia in mente se il business della società target ha un’aspirazione global o meno”, continua Bini, “e se la risposta è no, per giustificarne l’esistenza nel portafoglio, significa che il mercato locale è sufficientemente ampio”. 

OLTRE ALLE OPERAZIONI IN FONDI SPECIALIZZATI IN STARTUP TECNOLOGICHE, IL FONDO DI FONDI VENTURITALY HA INVESTITO ANCHE:

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In due fondi dedicati alle life sciences

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In un veicolo dedicato all'impact investing, quindi con l'obiettivo di generare benefici per la società.

In che modo questa tipologia di operazioni può supportare l'innovazione in Italia?

Tutto può essere definito impact, dipende dall’obiettivo finale”, dice Bini, “certo è che ci sono tematiche più chiaramente definibili come impact, ad esempio quando si parla di servizi alla persona, di sostenibilità ambientale e di bilanciamento di genere”. 

Sicuramente l’attenzione degli investitori è crescente, e il tema è molto attuale. Anche se misurare l’impatto non è per niente semplice: “l’importante è che ci sia un mix di obiettivi di rendimento e di impatto, ci devono essere entrambe le componenti”. 

L’ambito delle life sciences crea impatto nella vita delle persone, come spiega Bini: “di recente abbiamo portato a termine due closing su due fondi venture capital nel nostro portafoglio, Claris Biotech I e Panakès Purple, che sono adiacenti nella catena del valore. Claris si occupa infatti del very early stage biotech, quindi della primissima fase dello sviluppo di una molecola pensata per rispondere a un need irrisolto. Panakès interviene, sempre nel medtech/biotech ma in una fase successiva, ad esempio quando la molecola è pronta a essere testata sull’uomo”. 

Opes invece si colloca in modo inequivocabile come fondo di impact. 

Il suo obiettivo è proprio andare a prendere deal flow in settori e ambiti che abbiamo un forte impatto sociale”, racconta Bini. 

Ma non si tratta di onlus o di beneficenza: tutti gli investimenti impact di venture capital devono avere una sostenibilità economica e generare ritorni. 

Tanto che “un fondo di impact ha una struttura di remunerazione per i manager che gestiscono il fondo che unisce la componente di redditività del fondo alla componente di raggiungimento degli obiettivi di impatto”. 

Sono ancora pochi gli investitori privati in Italia. Come si concilia la necessità di generare ritorni per gli investitori con le operazioni che coinvolgono startup e PMI innovative in fase early stage e quindi lontane dal generare utili? 

Oggi siamo in un buon momento rispetto al passato, nonostante gli investitori nei fondi siano ancora pochi”, commenta Bini, “perché i fondi che oggi hanno superato il periodo di investimento assistono al riconoscimento di valutazioni crescenti delle proprie partecipate da parte di investitori anche internazionali e stanno cominciando a fare exit significative, dimostrando quindi che i ritorni a un certo punto arrivano”. 

Insomma: via via che il mercato diventa maturo, ci si auspica che si accorcino i tempi della redditività. 

E ne trae vantaggio l’intero ecosistema italiano, perché finalmente l’Italia comincia a essere vista come luogo dove fare business. Con questa prospettiva aumenteranno anche i soggetti privati che scelgono di investire in un fondo di venture capital. 
 
I prossimi obiettivi del Fondo di Fondi VenturItaly conclude Bini: “sono di continuare a supportare il mercato, sempre con maggior convinzione, e in tutte le sue evoluzioni. Con ancora più risorse e possibilmente coinvolgendo anche fondi esteri disposti ad investire parte della propria dotazione in Italia”.

L’ecosistema a supporto dell’innovazione in Italia